Free Solco
Salendo la strada della vecchia via di lizza del Balzone , dove anni fa con una teleferica venivano portati a valle i blocchi di marmo, dalle cave del monte Sagro verso la valle del Lucido, si presentano davanti allo sguardo, le imponenti pareti rocciose, denominate da scalatori e alpinisti, torri di Monzone.
La prima che appare è la Pala dei Fiorentini, poi il Campanile, la Cattedrale, il Balzone e dopo, quasi in fondo all’angusta valle, si erge un’ulteriore misteriosa struttura, ancora innominata.
Lo sguardo va là, a quelle strisce nere verticali che l’acqua ha disegnato da chissà quanti anni, inframmezzate da roccia gialla e imponenti tetti.
Tutte le torri sono ormai solcate da numerosi itinerari di arrampicata, straordinariamente verticali e aggettanti.
Pochi settori rimangono inesplorati.
Durante l’apertura di “Libertà Condizionata”, i nostri occhi erano continuamente catturati da quelle due strisce nere inframmezzate da repulsivi tetti.
Arriva il giorno che ci portiamo sotto parete convinti di trovare solo una corda fissa, del tentativo di salita, fatto qualche anno fa da Davide della valle e Silvano Giorgieri. Con nostra sorpresa, molto più a sinistra della corda fissa, scorgiamo una linea di chiodi, a noi sconosciuta.
In quel momento i nostri sogni di fare una prima salita si infrangono alla vista di quei chiodi.
Decidiamo di scalare su quella linea per vedere dove concretamente portava.
Scaliamo quel tiro di corda con la delusione di quelli che si stanno rendendo conto di essere arrivati tardi.
Pur avendo immaginato di seguire un’altra linea, un po’ più a destra di quella, era evidente che se ci fosse stata già una via, tutti i nostri sogni, sarebbero crollati.
Arrivati alla sosta di quel tiro di corda, partiamo seguendo ancora qualche chiodo e dopo pochi metri ci accorgiamo che la salita si interrompeva poco più avanti e, soprattutto, non andava dove noi avevamo progettato e visualizzato di arrampicare.
Ritornati alla base con rinnovato entusiasmo partiamo seguendo le nostre primordiali idee.
Da lì e fino alla fine, nessun segno di precedente passaggio di alpinisti.
Così è nata “Free Solco”, la linea dei nostri sogni, su quella pala ad oggi ancora innominata.
Sopra di noi, placche di roccia gialla e tetti che via via formano diedri e fessure da seguire in modo logico e naturale.
Ci siamo chiesti numerose volte come mai nessuno avesse arrampicato lì in quel settore.
Le risposte erano sempre le solite.
Forse appare troppo difficile, forse è troppo lontano da raggiungere, forse la roccia è pessima.
Nessuna di queste risposte hai mai messo in pace i nostri animi.
La curiosità e la voglia di salire lassù era talmente forte che solo il provaci avrebbe calmato le nostre fregole di scalatori e piccoli avventurieri.
E’ nata una linea spettacolare su roccia ottima a parte qualche breve tratto caratterizzato dalla tipica roccia cotta e gessosa delle torri.
Soprattutto possiamo affermare che si tratta di una salita logica che segue una serie di diedri che vanno sempre a morire contro qualche tetto, reso aggirabile da traversi esposti e ariosi.
Talvolta le vie delle torri, possono risultare monotone per il tipo di arrampicata, seppur su bellissime placche a liste di selce. Il carattere di Free Solco è decisamente diverso.
Gli ingredienti ci sono tutti: strapiombi, diedri, traversi, placche e fessure, non manca niente.
Arriva il momento di decidere il nome della via!
Lo spunto parte da una battaglia che da qualche anno stiamo combattendo contro enti, istituzioni, associazioni e svariati subdoli poteri.
I tentativi fatti per modificare un divieto assoluto di arrampicata in una valle poco distante, la valle del Solco di Equi, appunto, un divieto che vige da 25 anni, ci suggerisce il nome della nostra nuova creazione.
Free Solco vuole essere, un esortazione, un input, a ripensare un divieto di arrampicata che blocca scalatori, alpinisti e tutta una microeconomia che potrebbe segnare l’inizio di un cambiamento nella gestione e frequentazione di questi luoghi.
Un anacronistico e assurdo divieto, ufficialmente nel nome del rispetto dei rapaci, quando a poche centinaia di metri di distanza, si continua a tagliare il monte per estrarre l’oro bianco delle apuane, in barba a tutti gli organismi viventi possibili e immaginabili: piante, fiori rarissimi ed endemici, rapaci, rettili di ogni tipo.
Dai dati raccolti in questi ultimi 20 anni, da associazioni per la tutela dei rapaci, emerge chiaramente come il divieto di arrampicata non abbia fatto aumentare la prolificità della coppia di aquile reali che popola questi luoghi.
L’assenza degli scalatori non favorisce la vita delle aquile, questo è assodato.
Nessuno hai mai pensato di provare a chiudere e a bonificare quei mostruosi buchi nelle montagne per vedere cosa succede alle aquile?
Certo impedire di arrampicare è molto più facile e veloce.
Ripensare radicalmente ai nostri comportamenti di sfruttatori è un po’ più difficile.
Ammettere di aver fallito nella gestione di un ambiente delicato e unico come le apuane è pura utopia.
Ma si sa, secondo loro il marmo porta ricchezza, porta lavoro, porta effimero benessere.
Gli scalatori sono per lo più, persone sensibili alla natura ma poveri di beni materiali.
Allora quale modo migliore per farli fuori?
Impedirgli di frequentare certi luoghi sacri all’industria del lapideo, così, occhio non vede cuore non duole.
Nessuno vede, nessuno si lamenta e nessuno protesta.
Ma noi no, siamo testardi, abbiamo la testa dura come il marmo che ci ha dato i natali e continuiamo la nostra battaglia.
Edoardo, mio amico, collega e compagno di cordata in questa ed altre avventure, arriva da Modena, non è nato in Apuane ma sicuramente le comprende molto meglio rispetto a tanti che sono nati ai loro piedi e non capiscono che stanno distruggendo il tetto sopra la loro casa.
Arriverà il giorno in cui la casa crollerà sotto le bennate delle ruspe.
Quel giorno sarà tardi.
La nostra missione di scalatori sensibili è quella di portare alla luce questa situazione assurda.
Forse è una lotta contro i mulini a vento?
Probabile! Ma cosa importa?
Quello che conta e cercare di far valere le nostre idee e i nostri apparentemente, inutili sogni.
Così è nato il nome, Free Solco!
Vuol dire liberate il solco d’Equi, liberate le Apuane, ma vuol dire anche liberate i vostri sogni, tenerli nei cassetti non serve a nulla.
Il progetto ci ha impegnato non poco, la parete non è banale, strapiomba, le doppie per la discesa sono costantemente nel vuoto.
Lo stile di arrampicata è il solito che abbiamo utilizzato per “Libertà Condizionata”.
Soste a spit, protezioni veloci dove possibile, spit di progressione dove ci è sembrato opportuno.
La soddisfazione più grande è quella di essere riusciti a scorgere, prima con lo sguardo poi nella realtà, una linea logica e ardita in un parete apparentemente repulsiva e poco incline ad essere arrampicata senza grosse forzature.
Certo le difficoltà non sono basse, le lunghezze sono tutte intense; in modo particolare i 3 tiri che ci permettono di aggirare i grandi tetti hanno una notevole esposizione sul vuoto.
Quella sensazione che noi cerchiamo e che costantemente ci spinge a guardare sempre in su.
Un grazie al mio compagno di cordata Edoardo che ha dato un grandissimo contributo per passare nei punti più difficili e soprattutto grazie al suo entusiasmo contagioso. Non si tira mai indietro, basta buttare là un idea ed il gioco è fatto; una sorta di accendino sempre carico!
Grazie anche a Francesco che ha fatto parte del gruppo il primo giorno e che ha condiviso con noi le emozioni e le incertezze legate alla presenza di quei chiodi.
Per questa grandissima pala rocciosa che, se guardata lateralmente appare come una gigantesca vela, proponiamo il nome di Pala del Mistero.
Misteriosamente è stata lì un sacco di anni ad aspettare di essere arrampicata, il mistero aleggia intorno ai chiodi che abbiamo trovato alla nostra sx e quelli che abbiamo visto dall’alto su un terzo tentativo iniziato ancora più a destra. Abbiamo chiesto informazioni a numerosi personaggi della comunità di alpinisti e scalatori della zona ma nessuno ha saputo dirci niente di certo sull’origine di quei chiodi.
Purtroppo non possiamo chiedere informazioni a Mauro e Fabrizio che in quelle pareti hanno tracciato negli anni numerosi itinerari.
Se qualcuno avesse delle informazioni in merito saremmo contenti di sapere qualcosa in più.